Fisiopatologia della coagulazione nelle malformazioni venose: effetto delle terapie anticoagulanti

Le malformazioni vascolari a basso flusso di tipo venoso (MV) possono coinvolgere qualunque distretto corporeo con estensione variabile dai tessuti molli superficiali a quelli profondi. Frequentemente si localizzano nel tessuto muscolare degli arti e possono interessare un intero segmento corporeo a tutto spessore. Episodi trombotici all’interno della massa angiodisplasica possono avvenire spontaneamente a causa della stasi venosa cronica intralesionale ed essere causa di repentina sintomatologia dolorosa e invalidità funzionale in soggetti prima del tutto asintomatici.
E’ noto che oltre il 50% dei pazienti affetti da malformazioni vascolari a basso flusso di tipo venoso presentano alterazioni croniche della coagulazione evidenziate da un frequente incremento dei prodotti di degradazione del fibrinogeno (42-58%), raramente da marcata ipofibrinogenemia (5%) o da alterazioni del fattore Von Willebrand (12-27%), in assenza di alterazioni di PT, PTT o piastrinemia.
Tali alterazioni sono più frequentemente associate a malformazioni venose di ampia estensione e profondità, localizzate al tronco o agli arti, definite “segmentarie” , ossia che interessano un intero segmento corporeo con estensione dai tessuti superficiali a quelli più profondi. Tali alterazioni rappresentano l’espressione di un disordine cronico della coagulazione definito Coagulopatia Intravascolare Localizzata (CIL), secondaria alla stasi venosa intralesionale ed all’attivazione cronica della coagulazione.
Il quadro di LIC può aggravarsi in corso di intervento chirurgico o immobilizzazione postoperatoria prolungata sconfinando in un quadro di Coagulopatia Intravascolare Disseminata (CID) perioperatoria con sanguinamento incontrollabile, mettendo a rischio di vita il paziente.
L’insorgenza di una CID rappresenta un evento catastrofico la cui gestione richiede una degenza prolungata in Unità di Terapia Intensiva ed l’infusione di ingenti volumi di unità di sangue e plasma per poter ripristinare il controllo del paziente. Per contro, in altri pazienti può aversi lo sviluppo spontaneo di trombosi venose profonde estese. E’ pertanto imperativa la valutazione accurata dello stato coagulativo nei pazienti con malformazioni vascolari venose estese, particolarmente quando questi pazienti risultino candidati ad atti interventistici. Ma in questi casi il rischio emorragico legato all’approccio terapeutico è mal valutato dai classici esami di coagulazione.
Gli attuali test di screening della coagulazione (PT, aPTT) hanno infatti scarso valore nell’attribuzione del rischio emorragico nei soggetti sottoposti ad interventi chirurgici.
Tempo di protrombina (PT) e tempo di tromboplastina parziale attivata (aPTT) hanno l’enorme pregio di essere test globali che permettono in tempi rapidi di indirizzare la diagnosi verso difetti della via intrinseca, estrinseca o comune della coagulazione.
Essi si basano sul tempo necessario per ottenere la formazione di fibrina sufficiente alla modalità di rilevamento (ottica o elettro-meccanica) del coagulometro, e costituiscono pertanto test di screening ideali per la diagnostica delle alterazioni congenite della coagulazione, mentre la loro specificità per quanto riguarda le anomalie acquisite e’ relativamente scarsa, se non in associazione ad altri esami di laboratorio.
Nella coagulazione intravascolare disseminata (CID) l’allungamento di PT ed aPTT è dovuto tanto al consumo dei fattori in un processo di trombosi del microcircolo, quanto alla digestione degli stessi fattori da parte della plasmina, a sua volta maggiore responsabile del rischio emorragico. Pertanto, nella diagnostica di laboratorio della coagulazione intravascolare disseminata al PT si associa il conteggio delle piastrine, il dosaggio del fibrinogeno e quello dei prodotti di degradazione della fibrina.
Nel Marzo 2013 è stato promosso ed avviato un Protocollo di ricerca indipendente finanziato dalla Regione Lombardia per lo studio delle alterazioni della coagulazione associate alle malformazioni vascolari dal titolo Coagulopatie croniche associate a malformazioni vascolari e angiodisplasie complesse: ricerca di markers di laboratorio innovativi per la valutazione preoperatoria del rischio trombotico-emorragico. Lo studio è stato realizzato in collaborazione multicentrica fra il Centro Angiomi e Malformazioni Vascolari nell’infanzia dell’Ospedale dei Bambini “V.Buzzi” – ICP Milano ed il Servizio di Coagulazione ed Unità Ricerca Trombosi presso l’ IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano.
Questo studio si proponeva di identificare markers innovativi indicativi dell’assetto coagulatorio in pazienti affetti da malformazioni vascolari complesse al fine di individuare una nuova modalità di accertamento del rapporto di rischio trombotico-emorragico del singolo paziente sottoposto a chirurgia, con una conseguente migliore gestione clinica del rischio emorragico operatorio mediante un protocollo di profilassi perioperatoria nei pazienti a rischio.
A tal scopo di ricerca sono stati introdotti due nuovi test: il test di generazione della trombina (TGT) e la tromboelastometria (ROTEM).
Una valutazione della funzionalità piastrinica, comunque in qualche misura dipendente oltre che dal numero delle piastrine anche dai livelli di ematocrito e di fattore di von Willebrand, è fornita inoltre dal Platelet Function Analyzer (PFA-100).
La tromboelastografia è stata utilizzata fina dagli anni ’40 per lo studio della coagulazione, ma e’ stata presto abbandonata per il suo carattere qualitativo e per la scarsa riproducibilità dei risultati. Questi difetti sono stati oggi superati con lo sviluppo di nuovi apparecchi (tromboelastometri) in grado di quantizzare le varie fasi della coagulazione e della fibrinolisi e di offrire una accettabile riproducibilità dei risultati, con l’ottenimento di intervalli di normalità ben definiti. L’innesco della coagulazione su sangue raccolto in sodio citrato può avvenire (in analogia a PT e aPTT) con fattore tissutale (EXTEM) o con un attivatore da contatto (INTEM), e sono disponibili ulteriori reagenti in grado di valutare separatamente l’influenza di piastrine e fibrinogeno (FIBTEM), e di neutralizzare l’effetto della eparina presente nel campione (HEPTEM). Nell’arco di circa 60 minuti si hanno informazioni corrispondenti a PT, aPTT, numero e funzionalità delle piastrine, livelli di fibrinogeno, attività fibrinolitica (APTEM) ed eventuale effetto di eparina e protamina sul potenziale coagulativo.
La misura dell’attività fibrinolitica riveste una particolare rilevanza nello specifico campo della malformazioni vascolari venose, dato che nella maggior parte dei casi lo stato iperfibrinolitico prevale su quello ipercoagulativo in questa tipologia di coagulazione intravascolare. L’importanza dei livelli di fibrinogeno, in termini di rischio emorragico, è ormai ben nota nel (poli)trauma come nell’emorragia postpartum dove il consumo può riconoscere un eccesso di trombino-formazione, ma anche una iperfibrinolisi marcata. In aggiunta, la tromboelastometria può permettere anche il rilevamento di carenze acquisite di fattore XIII, la cui importanza, nell’ambito delle coagulopatie acquisite, viene oggi ampiamente rivalutata.
Una analisi delle alterazioni riscontrate ai test ematologici in oggetto effettuati in 50 pazienti affetti da malformazioni venose segmentarie evidenzia un quadro di marcata ipocoagulabilità e forte ipofibrinogenemia, ridotto potenziale di generazione della trombina e malfunzionamento dei sistemi di anticoagulazione naturale.
L’analisi volumetrica in 3D delle masse angiodisplasiche nei pazienti compresi nel gruppo di studio effettuata sulle immagini RMN attraverso segmentazione manuale mediante software Osirix® DICOM Viewer ha dimostrato una forte correlazione diretta fra il volume della malformazione venosa e l’entità delle alterazioni di tutti i markers presi in esame (in particolare fibrinogeno, FDP, Fattore XIII e antiplasmina), dimostrando una proporzionalità diretta fra il volume della malformazione venosa e la gravità della coagulopatia cronica ad essa associata.
In 9 pazienti i tests sono stati ripetuti prima e dopo un ciclo terapeutico di 3 settimane con eparina a basso peso molecolare (EBPM) in monosomministrazione giornaliera per via sottocutanea. La profilassi anticoagulante ha prodotto in tutti i pazienti testati un miglioramento complessivo del quadro coagulativo e fibrinolitico.
In 2 pazienti con una storia clinica di episodi trombotici ricorrenti intralesionali condizionante dolore acuto è stata avviata una profilassi off-label in via sperimentale con Apixaban e Dabigatran. Tale profilassi ha indotto una ottima risposta clinica con completa remissione della sintomatologia dolorosa secondaria alle trombosi intralesionali ed un miglioramento dei livelli testati di fibrinogeno, FDP e fattore XIII.
Tali risultati suggeriscono l’indicazione ad una profilassi preoperatoria specifica con farmaci anticoagulanti nei pazienti affetti da malformazioni venose segmentarie associate a coagulopatia cronica candidati alla chirurgia.
I nuovi farmaci anticoagulanti orali diretti, meglio tollerati nel lungo periodo, rappresentano un’alternativa promettente alle EBPM nella prevenzione delle manifestazioni trombotiche recidivanti proprie di questi pazienti.

V. Baraldini, A. D’Angelo*

Centro Angiomi e Malformazioni Vascolari nell’infanzia, UOC di Chirurgia Pediatrica, Ospedale dei Bambini “V.Buzzi”, ICP , Milano

*Servizio di Coagulazione ed Unità Ricerca Trombosi, IRCCS Ospedale San Raffaele, Milano

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Scritto da Vittoria Baraldini

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